Tavola, Giulio (1903-1956)

Un sacerdote che non praticò la cosiddetta “vita pastorale” o “cura d’anime”; serì non di meno la chiesa in quella sua benefica e gloriosa tradizione di opere caritative a sollievo delle umane miserie per elevare verso il cielo una porzione di umanità che sembra lasciata dalla natura decorrere in pena all’infelicità completa: don Giulio Tavola, rettore dell’Istituto San Vincenzo in Milano per l’educazione degli anormali psichici.
Poco conosciuta era l’opera, ignoto quasi a tutti il suo Direttore: pure la morte lo scovò e lo rapì violenta in una sciagura stradale lo scorso 22 aprile.
Era nato ad Airuno nel 1903. Volendosi avviare al sacerdozio, incominciò gli studi nel Seminario diocesano. Fu chierico presso il Seminario del Duomo: quivi concluse i suoi studi, incaricato, negli ultimi anni di teologia, si assistere quei chierichetti. Giunse al sacerdozio l’11 giugno 1927.
Da allora, destinato all’Istituto San Vincenzo di via Copernico 1, dedicò la vita con zelo e senza riserve all’educazione di quei fanciulli poveri e trascurati.
Nel 1931 passò alla direzione della sezione femminile dello stesso istituto in Monza. Nel 1934 il card. Schuster lo incaricò di reggere l’Istituto nel periodo di infermità di mons. Angelo Restelli, cui successe definitivamente nel 1937.
L’opera tende a risvegliare e rendere efficienti in ogni allievo quelle risorse limitate di facoltà spirituali, che pure costituiscono l’uomo e lo distinguono dagli altri viventi. Richiede studio, fatica, pazienza.
“Qui si lavora per Dominum nostrum e per i nostri ragazzi”. Nessun’altra ambizione, nessun altro impegno fuori casa: questo il suo programma, proposto come indispensabile anche ai sacerdoti mandati a lui dall’Arcivescovo in aiuto e destinati a raccogliere e continuare l’opera provvidenziale.
“Noi dobbiamo servire i nostri bambini: siam qui per loro”, ripeteva ai suo collaboratori, sacerdoti e suore. “Il Signore ci fa una grande grazia: d’essere in un’opera di carità! Io ringrazio il Signore di poter vivere in mezzo ai poveri”.
Povertà, Carità! L’una per l’altra, e la Provvidenza a sistegno.
Ci furono anni difficili. Quello in cui egli non aveva in aiuto se non un sacerdote malaticcio e dovevano tenere vive due case. Gli anni di guerra con le difficoltà di approvvigionamenti, di comunicazioni: e tre case aperte (le due solite e quella di sfollamento in Porto Valtravaglia) e molte bocche da sfamare, e scarsi aiuti. Le rovine dei bombardamenti a Milano. La ricostruzione con il solo introito delle elemosine.
La vita di un istituto di beneficienza è una continua testimonianza di fede nella Provvidenza. Don Giulio vi ebbe gran fede.
Il compianto card. Schuster soleva giocare sul nome suo: “Lei è una tavola di salvezza per tanti bambini”. Don Giulio sapeva di fatto tenersi felicemente a galla in questo mare della Provvidenza.
Convinto che “la Provvidenza arriva tutti i giorni, ma si deve andarle incontro”, non riposava.
Sicuro anche che la Provvidenza c’è per tutti, non s’affannava né del domani, né tanto meno della concorrenza. “La carità dev’essere libera e spontanea; ognuno deve seguire nella scelta delle opere di bene le proprie simpatie. La Provvidenza aiuta tutti distribuendo i gusti in modo che nessuno sia trascurato”.
Pe suo conto non trascurava nesusno. Premuroso verso i suoi collaboratori, ne intuiva – per dono singolare – le necessità, i crucci. Dedito agli alunni suoi, provvide alla loro istruzione, a divertirli quando occorreva, li favorì di case ampie e adatte; ne soccorreva talvolta le famiglie, s’inteneriva alle molte miserie fisiche o morali che spesso accompagnano la disgrazia che convoglia tali alunni all’Istituto. Chi bussava alla sua Carità, non se n’andava mai senza un soccorso di consiglio, di prestazioni, di elemosina pur minima (non poteva togliere il pane di bocca ai suoi piccoli). Si faceva dovere particolarmente delicato di carità scovare la miseria e soccorrerla quanto più nascosta e timida, senza umiliarla.
E non aveva nulla di suo, e non teneva per sé nessun dono gli venisse fatto: tutto per il suo Istituto!
La carità è potente. La carità è silenziosa. “Non facciamo fracasso”, insegnava ai suoi. E lavorava appassionatamente, arditamente anche, ma sempre cauto per non suscitare chiasso umano, che togliesse all’Istituto il diritto al premio di Dio.
Dio non ignora: “Chi darà un bicchier d’acqua in mio nome a un piccolo, avrà la mercede dell’Apostolo”. Don Giulio donò tutta la sua anima, ricca come fonte zampillante di vita eterna, ai suoi numerosi piccoli. Iddio lo portò un giorno – era quello della Prima comunione nella casa di milano – di colpo in cielo, quasi impaziente di dargli quella abbondante mercede meritata: “Intra in gaudium”.

Luigi Maggioni, Don Giulio Tavola, in La Fiaccola, XXX (1956) 8, p. 14